MUSICA
IL JAZZ E LA BATTERIA
Anche le voci dei cantanti godono di grande libertà.
Restando negli Stati Uniti d’America, parleremo della musica jazz e del suo strumento più rappresentativo: la batteria, che è un’altra delle mie passioni.
Il jazz è un genere musicale nato tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento negli Stati Uniti d’America da musicisti di colore. Le sue caratteristiche principali sono un ritmo molto marcato e l’improvvisazione, cioè la possibilità di variare a piacere la melodia cambiando note e ritmo secondo l’ispirazione del momento.
Il jazz deriva dai canti dei Neri d’America che erano stati portati dall’Africa a lavorare come schiavi nelle piantagioni americane (foto a fianco). Nonostante la pesante repressione della cultura africana da parte dei Bianchi, alcune sue caratteristiche musicali sopravvissero nei nuovi canti intonati dagli schiavi: i work songs (canti di lavoro) e gli spirituals (canti spirituali). Nel 1865, con l’abolizione della schiavitù, i Neri furono costretti a vagare per le città e le campagne in cerca di lavoro. Nacque così il blues, una musica triste e malinconica che esprimeva tutta la sofferenza di questi musicisti. I canti iniziarono ad essere accompagnati dagli strumenti, ma questi erano vecchi e spesso malfunzionanti, la maggior parte delle volte abbandonati dai Bianchi e ricomprati per pochi spiccioli. Infatti alla fine della guerra, con la dismissione delle bande militari, trombe, tromboni, clarinetti, bassotuba e tamburi diventarono acquistabili a basso prezzo.
Così, alla fine dell’Ottocento, nella città di New Orleans, nacquero le prime jazz band (foto a fianco) che iniziarono a esibirsi nei locali. Le jazz band ottennero un successo sempre maggiore anche in alcune città del Nord America, come Chicago e New York. All’inizio le jazz band erano formate da sette o otto strumenti: una o due cornette, un clarinetto, un trombone, un violino, la chitarra, un contrabbasso e la batteria. Se c’è uno strumento con il quale il jazz si è identificato, questo è proprio la batteria. Infatti i vari elementi che vanno a formare una batteria, con ritmi realizzati con le mani e con i piedi ben distinti, sono riusciti a racchiudere perfettamente lo stile del jazz. Possiamo dire che il jazz ha quasi ‘inventato’ la batteria o comunque ne ha fatto uno strumento simbolo della propria musicalità. Questo perché il jazz si caratterizza per l’utilizzo di una varietà di ritmi impiegati tutti nello stesso momento e la batteria, se si sviluppa una certa esperienza e manualità, è capace di generare ritmi ben distinti. A rendere jazz e batteria un connubio perfetto sono le origini dello strumento e del genere: il jazz nasce dagli schiavi afroamericani e la musica tipica delle regioni africane è realizzata con strumenti a percussione. Infatti, nonostante gli strumenti a percussioni esistano da 6000 anni, abbiamo dovuto attendere la fine dell’Ottocento per vederli abbinati insieme in un vero e proprio drumset (foto sotto).
Fino ad allora infatti, ogni elemento era suonato separatamente dai musicisti. La nascita della batteria viene comunemente collocata intorno al 1895, quando un famoso percussionista di New Orleans, Dee Dee Chandler, creò un rudimentale pedale in legno per colpire la grancassa. La geniale invenzione mise per la prima volta un unico musicista in condizione di azionare da solo quegli strumenti a percussione che nelle bande venivano affidati a tre musicisti distinti: grancassa, rullante e piatti. Infatti la batteria nacque per problemi di spazio: all’inizio le bande erano composte da molti musicisti che suonavano per strada, ed ogni elemento dell’attuale batteria era suonato da una singola persona. Quando le esibizioni si spostarono dalle strade ai locali, fu impossibile ospitare sul palco cinque o sei musicisti impegnati con le percussioni. La trovata geniale, quindi, fu di fondere in un’unica struttura cassa e rullante. A questa batteria furono aggiunti in seguito i piatti, solitamente allo scopo di creare un suono acuto, che si contrapponesse a quello grave dei tamburi. L’invenzione più innovativa riguardò però il charleston: una coppia di piatti turchi che erano portati a contatto o separati da un pedale a molla, azionato dal piede sinistro del batterista. Inizialmente era collocato a livello del suolo, ma, intorno al 1926, venne utilizzata un’asta scorrevole che permise di collocare il charleston all’altezza del rullante.
Fino ad allora infatti, ogni elemento era suonato separatamente dai musicisti. La nascita della batteria viene comunemente collocata intorno al 1895, quando un famoso percussionista di New Orleans, Dee Dee Chandler, creò un rudimentale pedale in legno per colpire la grancassa. La geniale invenzione mise per la prima volta un unico musicista in condizione di azionare da solo quegli strumenti a percussione che nelle bande venivano affidati a tre musicisti distinti: grancassa, rullante e piatti. Infatti la batteria nacque per problemi di spazio: all’inizio le bande erano composte da molti musicisti che suonavano per strada, ed ogni elemento dell’attuale batteria era suonato da una singola persona. Quando le esibizioni si spostarono dalle strade ai locali, fu impossibile ospitare sul palco cinque o sei musicisti impegnati con le percussioni. La trovata geniale, quindi, fu di fondere in un’unica struttura cassa e rullante. A questa batteria furono aggiunti in seguito i piatti, solitamente allo scopo di creare un suono acuto, che si contrapponesse a quello grave dei tamburi. L’invenzione più innovativa riguardò però il charleston: una coppia di piatti turchi che erano portati a contatto o separati da un pedale a molla, azionato dal piede sinistro del batterista. Inizialmente era collocato a livello del suolo, ma, intorno al 1926, venne utilizzata un’asta scorrevole che permise di collocare il charleston all’altezza del rullante.
La batteria che utilizziamo oggi (foto a fianco) e che io suono da quattro anni, è composta da una grancassa, un rullante, due tom, uno più acuto e uno più grave, uno o più timpani, una coppia di piatti denominata charleston, un piatto crash ed un piatto ride, il tutto tenuto insieme da una serie di aste meccaniche in metallo.
Ogni tamburo possiede una coppia di pelli (rispettivamente battente e risonante) la cui tensione viene assicurata affinché ci sia un buon rimbalzo della bacchetta.
La grancassa è di solito il pezzo più grande del drumset; produce un suono basso e profondo ed è suonata con un apposito pedale, che colpisce la pelle tramite un’asticella in metallo, rivestita all’estremità di un corpicino (in genere sferico) di peltro. La grancassa può avere vari diametri e profondità. Il diametro oscilla tra i 46 e i 66 cm, mentre la profondità tra i 36 e 46 cm.
Il rullante è un tamburo cilindrico poco profondo, che produce un distinto suono acuto. E’ dotato di una serie di fili metallici – la cosiddetta “cordiera” – posta sotto la pelle risonante del tamburo, che determina un suono ronzante o schioccante, secondo la tecnica usata. Le misure più comuni, per quanto riguarda il rullante, sono di 36 cm per il diametro e di 13 cm per la profondità.
I due tom aggiungono una varietà di suoni al set e di solito hanno un diametro che varia dai 20 ai 46 cm e una profondità tra i 15 e i 46 cm. Un drumset di base ha di solito due tom: uno montato “a terra” con un’asta (tale tom è detto anche “timpano”) ed uno più piccolo montato sulla grancassa tramite un supporto metallico.
Riguardo alle caratteristiche dei piatti, invece, c’è da dire che essi sono composti da varie combinazioni di metalli tra i quali prevalgono il rame, l’ottone e il bronzo. Il diametro di essi può essere molto variabile e si misura comunemente in pollici; le dimensioni vanno da un minimo di 6’’ (circa 15 cm) a un massimo di 24” (quasi 60 cm). All’aumentare del diametro, aumenta lo spessore del piatto e la gravità del suono.
Cliccando sul video sottostante, potete vedermi mentre suono la batteria.
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